Tra psicologia, diritto e responsabilità morale
Il caso di Alessia Pifferi – madre che a luglio 2022 lasciò morire di fame e sete la sua piccola Diana, di circa un anno di età, rinviando il proprio rientro per un intero fine settimana – continua a scuotere l’opinione pubblica italiana. Le ultime novità, risalenti al 26 agosto 2025, sono decisive per il prosieguo del processo in corso.
Fatti rilevanti del caso
Nel luglio 2022, Alessia Pifferi si assentò da casa per sei giorni, durante i quali la sua figlia di diciotto mesi, Diana, rimase sola, priva di supporto e alimenti adeguati: fu trovata morta tra il 18 e il 20 luglio 2022. Accanto al corpicino, un biberon di latte e uno di tè costituivano l’unica “cura” che le era stata lasciata. L’autopsia confermò che la bambina era morta di stenti e disidratazione, arrivando al punto di ingerire il proprio pannolino nel tentativo estremo di sopravvivere.
Dalle indagini si sa che la versione iniziale di Pifferi parlava di una baby-sitter inesistente e spiegazioni contraddittorie, e solo poi ammise la sua assenza prolungata. La dinamica del caso solleva riflessioni cruciali sulla responsabilità genitoriale, l’autocontrollo emotivo e i processi decisionali di persone in apparente evidente affermazione dell’ego.
Il primo grado e la condanna
Nel maggio 2024, il processo di primo grado si concluse con una condanna all’ergastolo per omicidio volontario aggravato, senza premeditazione ma con aggravanti futili e di parentela, oltre a risarcimenti economici simbolici per la madre e la sorella della piccola Diana.
Lo psichiatra forense incaricato, Elvezio Pirfo, stabilì che Pifferi fosse pienamente capace di intendere e di volere nel momento dei fatti, rigettando l’ipotesi di un deficit mentale che potesse compromettere la responsabilità. Secondo la perizia, le sue scelte erano pienamente coscienti e volontarie, orientate da un desiderio egoistico di riservarsi del tempo per sé.
Il processo d’appello e la nuova perizia
Il ricorso in appello è stato accolto, e la difesa ha ottenuto l’assegnazione di una seconda perizia psichiatrica collegiale, affidata a tre esperti: lo psichiatra Giacomo Francesco Filippini, la neuropsicologa Nadia Bolognini e il neuropsichiatra infantile Stefano Benzoni.
Questa nuova indagine, condotta tra carcere di Vigevano e raccolta di ampia documentazione clinica, scolastica e personale di Pifferi, ha confermato la piena capacità di intendere e di volere al momento dei fatti. Sebbene sia emersa la presenza di un disturbo risalente all’infanzia, secondo i periti ciò non ha inciso sulle capacità decisionali di Pifferi al momento dell’evento.
Le tappe processuali imminenti
Gli sviluppi previsti nelle prossime settimane sono fondamentali:
- 24 settembre 2025: discussione in aula della perizia in presenza dei consulenti delle parti, con la pubblica accusa rappresentata dalla sostituta procuratrice generale Lucilla Tontodonati.
- 11 settembre 2025: udienza davanti al GUP per il processo parallelo (“caso bis”), in cui sono coinvolti l’avvocata Pontenani, alcune psicologhe e uno psichiatra della difesa, accusati di manipolazione e falso ideologico per aver cercato di ottenere dati falsati sul quoziente intellettivo (affermando un QI di 40) per influenzare l’esito del primo processo.
- 22 ottobre 2025: possibile arrivo della sentenza d’appello, con il rischio concreto che l’ergastolo venga confermato, vista l’assenza di vizi mentali riconosciuti, salvo concessione di attenuanti.
Analisi psicologica e criminologica
Responsabilità volontaria e distacco emotivo
Il doppio accertamento che conferma la capacità di intendere e volere indica con chiarezza che non si tratta di un caso di infermità mentale, ma di scelte volontarie e orientate da una logica di fuga emotiva. Il comportamento di Pifferi riflette una dissociazione evidente tra i suoi bisogni di adulto, di genitorialità e quelli emergenti della sua condizione psichica. Da un punto di vista criminologico, questo fattore – unito al contesto storico di abbandono infantile e trauma – suggerisce una lettura multidimensionale: una persona che, in modo deliberato, sceglie una priorità egodistonica (il fine settimana fuori) al di sopra del ruolo materno fondamentale.
Il disturbo dell’infanzia: attenuante o legittimazione della pena?
La presenza anche di un disturbo infantile emerge chiaramente dai fascicoli: abusi sessuali, trascuratezza, difficoltà scolastiche e isolamento – tutti elementi di rischio psicopatologico. Tuttavia, per i periti è emerso che tali fattori non abbiano inciso sulla sua capacità attuale, almeno rispetto al momento dell’abbandono. In psicologia forense, si distingue tra causa remota e capacità attuale: un trauma infantile può spiegare predisposizioni ma non giustifica automaticamente la perdita di responsabilità se la persona è consapevole delle proprie azioni. In questo caso, la differenza è netta: riconosciamo il trauma, ma dobbiamo anche riconoscere la piena responsabilità.
Il “caso bis”: manipolazione e compromissione dell’eticità professionale
Il secondo filone processuale, che riguarda la possibile manipolazione di test psicometrici e documentazione da parte di figure professionali (avvocata, psicologhe, psichiatra), pone una questione etica rilevante. Se accertato, si tratta di un illecito grave sia dal punto di vista legale sia professionale, poiché mina la credibilità della prova e l’indipendenza professionale degli esperti. Questo rischio di influenzare il giudizio psichiatrico pone un interrogativo: quanto è fragile il confine tra tutela del cliente e manipolazione forense?
Prospettive future e riflessioni
Confermata la capacità di intendere e volere, salvo attenuanti, la strada della difesa appare difficile. Le attenuanti potrebbero venire proprio dal riconoscimento storicamente strutturato di traumi infantili e vulnerabilità di personalità: ma con un sistema giudiziario sempre più attento alla responsabilità personale, è difficile che bastino a evitare l’ergastolo. Tuttavia, in caso di riduzione della pena, il riconoscimento della vulnerabilità subita in età evolutiva può avere un valore simbolico e terapeutico.
La conclusione della “narrativa“
Il caso di Alessia Pifferi resta un tragico crocevia tra trauma, scelta e responsabilità personale. Non è solo un episodio di cronaca nera: ci invita a riflettere su quanto le esperienze infantili difficili possano influenzare la vita adulta, ma anche su come, in certe situazioni, la consapevolezza e la volontà restino decisive. Allo stesso tempo, questa vicenda mette in evidenza quanto sia importante affidarsi a valutazioni psicologiche e forensi serie e imparziali, soprattutto quando si tratta di stabilire le responsabilità in sede civile o penale.
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